I Social Network sono la nuova frontiera dell’advertising, dicono in US. È vero: i social media dovrebbero essere utilizzati per creare engagement, non per fare pubblicità all’hotel. Ma è altrettanto vero che – con il ruolo che i social hanno assunto oggi nella pianificazione del viaggio – non sperimentare le possibilità a pagamento offerte da Facebook e co. sarebbe un errore.
Per capire le tendenze del Travel social media advertising, Expedia Media Solutions e PhoCusWright condividono in un’infografica appena pubblicata i numeri più recenti e le previsioni per il nuovo anno.
In un mercato turistico dove il viaggiatore italiano è sempre più colpito dalla crisi e sempre meno disposto a spendere, per molti hotel della Penisola l’unica salvezza restano i turisti stranieri.
Sono tanti gli albergatori che ci chiedono consigli per poter raggiungere nuovi mercati, come la Russia, il Sudamerica e la Cina, ma anche per aumentare la visibilità e farsi trovare da Europei e Statunitensi, da sempre tra i maggiori estimatori del Belpaese. Esistono delle best practice per gli hotel da seguire? Noi vi indichiamo l’ABC per penetrare con efficacia nei mercati esteri e guadagnarvi la vostra fetta di visibilità.
Se c’è una cosa che non sopporto è entrare in un negozio ed essere assalito dal commesso che tenta a tutti i costi di farmi comprare qualcosa e che mi sobilla con le nuove offerte disponibili. State certi che la mia reazione a questo tipo di approccio è la fuga immediata senza neanche dare un’occhiata.
La stessa cosa accade online: una comunicazione volta alla vendita troppo aggressiva da parte del vostro hotel, può spaventare gli utenti. Per quanto possa apparire una contraddizione, se volete vendere, evitate di vendere!
Gli studi condotti negli ultimi due anni dalla Cornell University sul Billboard Effect, a dimostrazione che una sana presenza sui portali favorirebbe la disintermediazione stessa, sono ormai diventati un punto di riferimento per tutto il settore dell’ospitalità a livello internazionale.
Oggi Max Starkov, per spronare e provocare gli albergatori che non riescono o non vogliono affrancarsi dalle OTA, critica apertamente in un articolo pubblicato on-line la ricerca della Cornell e indica il Billboard Effect come “l’approccio dell’albergatore pigro alla distribuzione alberghiera”.
Il vecchio codice a barre rivive nel mobile. E si chiama QR code (Quick Response Code). Nato in Giappone nel 1994 per tracciare i pezzi delle macchine Toyota, è un codice a barre composto da moduli neri, bidimensionale a matrice di forma quadrata, ed è in grado di contenere molte informazioni. Un QR code può infatti contenere fino a 7.089 caratteri numerici e 4.296 alfanumerici. In Giappone sono molto diffusi e da anni vengono impiegati nella pubblicità, per facilitare la trasmissione di dati e indirizzi internet. A seguito dell’esplosione del mercato mobile, i QR code si stanno diffondendo anche in Italia.
Una volta le pubblicità su tv, riviste e quotidiani potevano essere utili ad hotel o catene di hotel per costruire una più forte “brand awareness” e una maggiore visibilità, ma quanti delle migliaia di utenti di fronte alla Tv o con il giornale in mano avrebbero poi effettivamente prenotato?
I “paid media”, ovvero i mass media tradizionali a pagamento su cui fare pubblicità monodirezionale rivolta ad un pubblico generico (televisione, radio, giornali), possono risultare efficienti in termini di numero di utenti raggiunti, ma ciò non significa che per questo siano “efficaci”.
Se ci sono ancora albergatori che hanno timore a rispondere alle recensioni su TripAdvisor, altri hanno deciso invece di lanciarsi coraggiosamente nel mondo dei Social Media ed interagire direttamente coi propri clienti.
Sono in molti però ancora coloro che nutrono dei dubbi sull’effettiva efficacia dell’utilizzo dei Social Network e si chiedono: quanto è importante per l’hotel essere presente su Facebook o Twitter? Funzionerà davvero?
Gli utenti preferiscono ricevere messaggi pubblicitari e promozionali soprattutto per e-mail e SMS, e rigorosamente “permission based”, quindi autorizzati e provenienti da brand alla cui newsletter si sono iscritti volontariamente.
Il dato emerge dalla ricerca “2009 Channel preferences Survey”, realizzata in giugno su un campione di Americani da Forrester Consulting, su commissione di ExactTarget, azienda specializzata in e-mail marketing.
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